Le pillole
d’arte di Martina Casati
L’indomabile
Louise
Bonjour
pilloline. Oggi vi racconto una favola. Un po’ strappalacrime all’inizio, ma
con un happy ending (anche se decisamente tardivo). E’ la storia di Louise
Bourgeois, artista potentissima del Novecento che ha vissuto per quasi un
secolo (99 anni, per l’esattezza).
Avete
presente quei ragnoni giganti che ogni tanto, nelle capitali, si incontrano
davanti ai musei di arte contemporanea e sembrano usciti da un film di
Cronemberg? Ecco, sono suoi. Rappresentano l’amore materno… Non fate quella
faccia! Louise, figlia di due restauratori di arazzi, vedeva la propria madre
(amatissima) come un laborioso ragno tessitore che si tiene strette al grembo
le uova.

Louise frequenta a Parigi – dove vive – l’atelier di Fernand Léger, avvicinandosi al surrealismo, ma la sua arte è frutto di una ricerca tutta personale, per certi versi una terapia per scacciare i propri demoni. Nel 1938, a 27 anni, si sposa con il critico d’arte Robert Goldwater e si trasferisce a New York. La nostalgia di casa la fa stare malissimo, dunque comincia a realizzare piccole sculture in legno che ritraggono le persone che ha lasciato e che le ricordano la sua vecchia vita. La figura umana, il corpo, gli affetti, la maternità, l’amore, la sessualità saranno al centro di tutta la sua ricerca: una sperimentazione incessante sui materiali (legno, pietra, gesso, stoffa, cera, eccetera), ma soprattutto un percorso unico e originalissimo all’interno di un panorama votato quasi esclusivamente all’espressionismo e all’astratto.
Il corpo è per lei accoglienza (basti pensare alle sue Femme maison, mezza donna e mezza casa), ma anche dolore e sofferenze. E il suo percorso inevitabilmente la porta a toccare i temi del femminismo. Da un lato arriva a raccontare la condizione femminile come una gabbia, dall’altro analizza senza pietà il corpo maschile. Anche se forse il suo più terribile manifesto per la libertà è Destruction of the father (1974), banchetto dalle suggestioni cannibali realizzato, guarda caso, subito dopo la morte del marito.
Insomma,
tra il fatto che è una donna – e questo, ahimè, soprattutto allora, era un
grosso handicap – il fatto che è femminista (e come darle torto?) e il fatto
che la sua arte va contro tutte le mode, la povera Louise ci mette un bel po’ a
farsi conoscere. (Un po’ come me, povera tapina, che per farmi notare dal mio
caporedattore Pitbull e farmi affidare qualche articolo un po’ interessante su Art
& style devo fare i salti mortali…). Così la prima mostra personale, al
Moma di New York, arriva nel 1982, quando lei ha già messo in saccoccia 71
primavere. Vabbé, lei non si perde d’animo. E’ una vip, oramai. Osannata dai
giovani artisti e guardata da loro come un faro verso il futuro. Giovani
artisti che per anni – fino alla sua morte – vengono accolti in casa sua, la
domenica mattina, per sottoporle i loro lavori e ascoltare i suoi consigli (o
farsi travolgere dalle sue stroncature).
A me piace
ricordarla così, anziana e terribile, nel ritratto che le ha scattato proprio
nel 1982 Robert Mapplethorpe (uno dei fotografi più irriverenti e scandalosi
del XX secolo), mentre guarda in camera con l’occhio malandrino tenendo sotto
braccio la sua Fillette. E se volete sapere tutto, ma proprio tutto, di
lei, sappiate che dal 10 maggio i suoi diari, finora inediti, saranno in mostra presso il museo Glenstone, nel
Maryland, e che presto saranno pubblicati.
Martina Casati è la
protagonista di Arte, amore e altri guai, di Alessandra Redaelli, Newton
Compton Editori, Roma 2017. Per Newton Compton, Alessandra Redaelli ha scritto
anche i due saggi Keep Calm e impara a capire l’arte e I segreti
dell’arte moderna e contemporanea.
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