Marina & Ulay, la storia infinita - Le pillole d’arte di Martina Casati

Le pillole d’arte di Martina Casati
Marina & Ulay, la storia infinita.
Bonjour pilloline! Come state?
Per farmi perdonare di aver saltato una puntata (e per salutarvi come si deve prima delle vacanze) ho deciso di sciogliere i vostri cuoricini pillolosi con un’altra storia d’amore. Forse la più glamour, piccante e cool di tutta l’arte contemporanea. Quella tra Marina Abramovic (la regina della performance) e l’artista Ulay (al secolo Frank Uwe Laysiepen), suo compagno d’arte e di vita per 12 anni. Non lasciatevi ingannare dal fatto che oggi hanno la bellezza di 72 e 75 anni: non c’è niente di più distante da due teneri vecchietti che si tengono per mano su una panchina del parco. E sono sicura che non appena usciranno le loro memorie che stanno scrivendo a quattro mani (questa l’ultima novità da poco annunciata), dentro ci sarà materiale da far arrossire anche le più birichine tra voi. (Tanto più che loro sono a tutt’oggi due fighi pazzeschi e che lei, che si mostra ancora allegramente nuda nelle sue performance, potrebbe dare la birra a un bel po’ di trentenni. Credetemi.).

Ma chi è Marina Abramovic? E’ l’artista che ha trasformato la performance degli anni Settanta (hard, politicizzata, ma spesso piuttosto noiosetta) in uno spettacolo mediatico planetario. Quella che si è quasi fatta seviziare da un pubblico fuori controllo a cui si era affidata come una bambola senza volontà in una specie di esperimento antropologico, pubblico che le tagliuzzava gli abiti per spogliarla, la legava, la feriva e la minacciava con una pistola carica (Rhythm 0, 1974); quella che si incideva stelle sanguinanti sul ventre (Thomas lips, 1975); quella che si presentava alla Biennale di Venezia del 1997 seduta in cima a un mucchio di ossa bovine, tutta vestita di bianco, e con una spazzola di ferro puliva le ossa dalle cartilagini cantando una nenia serba per sensibilizzare sulla guerra che stava avendo luogo nel suo Paese, la ex Jugoslavia (Balkan baroque), e vi assicuro che facendo in giugno – mese dell’inaugurazione – parecchio caldo, la puzza era insopportabile e già il secondo giorno pullulavano i vermi. Vi giuro che quando Pitbull, il mio temibile caporedattore, mi ha fatto l’inaspettato regalo di mandarmi a intervistarla, be’, sono rimasta senza parole davanti al fascino di questa regina... che si dimostrava pure simpatica e alla mano.

E Ulay? Certo, Ulay accanto a questo fenomeno è una figura un po’ pallida, bisogna ammetterlo. E credo che non sia stato facile per lui (come del resto non lo sarebbe per nessun maschietto) fare da eterna spalla e da eterno principe consorte. Però il loro amore fu davvero una fiamma divorante e le opere che idearono insieme sono ancora tra le più iconiche di tutta la storia dell’artista. Si incontrano nel 1975 e cominciano a lavorare insieme. Lasciano tutto, vivono su un camper e girano l’Europa per mettere in scena le loro performance sensuali e disturbanti. Guadagnano pochissimo, sono sempre senza soldi, ma in breve tutti parlano di loro. Della performance in cui stanno uno di fronte all’altra in equilibrio instabile con un arco teso in mezzo a loro e la freccia puntata verso il cuore di lei (Rest enrgy, 1980); dell’idea che viene loro nel 1977 per svegliare il pubblico della Gam di Bologna: quella di mettersi completamente nudi nello spazio esiguo della porta d’ingresso, costringendo lo spettatore, che per passare deve mettersi di fianco, a scegliere se strusciarsi contro di lui o contro di lei (Imponderabilia); del lungo soffocante bacio che si scambiano a naso tappato restando incollati bocca a bocca finché non sopraggiunge il collasso, che avviene infatti dopo 17 minuti (Death self, 1977). Anche quando finisce la loro storia Marina e Ulay decidono di celebrare con una performance: nel 1988 con The Great Wall walk partono dai due estremi opposti della Grande Muraglia cinese e si incontrano dopo 90 giorni di impervio cammino per dirsi addio. Esibizionisti? Forse un po’. Ma certamente legati da qualcosa di potente.

A quell’addio seguono lunghi silenzi, distacchi, un momentaccio in cui Ulay (convinto che lei venda opere realizzate a quattro mani firmandole come sue e non gli dia la sua parte) le fa anche causa. Ma nel 2010 durante la performance The artist is present, mentre lei sta seduta al tavolino dove crea muti dialoghi ipnotici con il suo pubblico, improvvisamente se lo trova davanti e si scioglie in lacrime mentre lui le prende le mani; e allora lo spettatore non può fare altro che esalare un: “Oooh...”, commuoversi, e convincersi che la loro storia d’amore non finirà mai.
Infatti oggi eccoli di nuovo insieme per questa nuova fatica letteraria. E sono sicura che quando a settembre l’Italia ospiterà la gigantesca retrospettiva dedicata a questa donna vulcanica (The cleaner, Palazzo Strozzi, Firenze, dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019) ne vedremo ancora delle belle.
A settembre, pilloline, ci rivedremo anche noi. Per il momento vi mando mille baci e vi auguro buona estate.

Martina Casati è la protagonista del romanzo di Alessandra Redaelli Arte, amore e altri guai, Newton Compton Editori, Roma, 2017. Per Newton Compton Alessandra Redaelli ha pubblicato anche i tre saggi Keep Calm e impara a capire l’arte (2015), I segreti dell’arte moderna e contemporanea (2016) e 10 cose da sapere sull’arte contemporanea (2018).

Commenti