Damien Hirst, ovvero: l’arte non è solo acchiappare farfalle. - Le pillole d'arte di Martina Casati

Le pillole d’arte di Martina Casati

Damien Hirst, ovvero: l’arte non è solo acchiappare farfalle.

Pilloline belle, buon primo giugno! Oggi parleremo di un bel tipo (!) inglese che di pilloline se ne intende proprio. No… che andate a pensare? Non è dipendente dagli psicofarmaci. Lui sta bene con se stesso (bè, diciamo che non gli manca niente, considerato quanto guadagna): gli basta indossare il suo chiodo nero, infilarsi gli anelli coi teschi, vedere battere all’asta qualcuna delle sue “cosine” per qualche milione di dollari e lui è un uomo felice. No, le pilloline le conosce perché una delle sue opere più conosciute è la Pharmacy, praticamente uno stanzone – piuttosto freddino – tappezzato di scaffali contenenti scatole e scatole di medicine (vuote, però, perché non si sa mai cosa può scattare nella testa dei visitatori) e un bella lampada insetticida che ora dopo ora ammazza tutte le mosche (spedite appositamente a volare lì dentro) e le fa precipitare sul pavimento.
Capito il tipo?
La prima volta che Pitbull – il mio feroce caporedattore – mi ha chiesto di scrivere un articolo su di lui era il 2008, Hirst aveva appena finito di appiccicare l’ultima mosca sul suo Black ritual e finalmente il mondo aveva capito che cosa aveva intenzione di fare di tutte le mosche morte che negli anni aveva acchiappato attirandole nella Pharmacy oppure facendole correre a pasteggiare sulle teste di vacca mozzate che esponeva in belle teche di vetro. La sua intenzione era di realizzare i Black ritual, per l’appunto. “Dai, Vispa Teresa: domani un giornalista vero atterrerà a Londra per intervistarlo per il prossimo numero”, mi aveva detto Pitbull, sempre adorabile. “Tu intanto però mettimi giù duemila caratteri su queste robe fatte appiccicando mosche morte alla resina”. Ovviamente, conoscendo i miei polli, ero sicura che Pitbull mi stesse prendendo per i fondelli… e invece no: su quelle tele c’erano imprigionate centinaia di migliaia di mosche morte. Una roba da voltastomaco… Non vi dico che capolavoro, l’articolo che era uscito! Mi ero inventata che quello era il modo in cui il nuovo millennio avrebbe parlato della morte.

Del resto lui aveva cominciato facendo ammazzare un povero squalo. Quando Mr Saatchi, collezionista molto molto intuitivo, gli aveva dato 50mile sterline per realizzare l’opera d’arte più folle che potesse pensare, Hirst – era il 1991 – aveva chiamato un pescatore di squali in Australia, si era fatto mandare uno squalo, lo aveva immerso in una teca piena di formaldeide e aveva creato The physical impossibility of death in the mind of someone living, pagato da un collezionista 12 milioni di dollari. E anche se ora che il collezionista si era deciso, lo squalo cominciava a imputridire (le dosi della formaldeide andavano un po’ messe a punto: non si può mica avere tutto), Hirst aveva fatto spallucce, si era fatto mandare un altro squalo e l’operazione era comunque andata in porto.

E da lì era cominciata la teoria delle vacche decapitate, dei vitellini tagliati in due per il lungo e messi in formalina per ammirarne le viscere, delle centinaia e centinaia di farfalle a cui strappare le ali per farne magnifici rosoni, fino alla mostra hollywoodiana approdata l’anno scorso a Venezia: quell’operazione gigantesca intitolata Treasures from the wreck of the Unbelievable in cui si inventava il falso ritrovamento di una nave naufragata duemila anni fa di cui Hirst avrebbe messo in mostra il contenuto: sculture monumentali in bronzo, oro, giada e marmo nero del Belgio. Una profusione di preziosità da fare impallidire le sepolture dei più ricchi faraoni.
Oggi alcune sue opere sono tra le protagoniste della nuova torre appena inaugurata a Milano alla Fondazione Prada. Non sono tantissime, ma c’è un gigantesco quadro ricoperto di mosche che vale la pena di vedere dal vivo. Ovvio, se non siete troppo impressionabili….

Martina Casati è la protagonista di Arte, amore e altri guai, di Alessandra Redaelli, Newton Compton Editori, Roma 2017. Per Newton Compton, Alessandra Redaelli ha scritto anche i

saggi Keep Calm e impara a capire l’arte (2015), I segreti dell’arte moderna e contemporanea (2016) e – appena uscito – 10 cose da sapere sull’arte contemporanea (2018).

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